Gil
- 02/01/2021 05:19:00
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Con i toni delicati dei colori pastello, la Turra non è poetessa che gridi le assenze o i perduti, non perché cerchi uneleganza nel dolore, ma per lumile stupore - un continuo sussurarle del cuore - che la abita di fronte al creaturale temporale cui lei va incontro come verso unepifania, ci fa traversare la notte come unattesa, immersi nel sentinento di una vigilia dalbe - il miracolo ripetuto della luce - prendendo tuttavia con fermezza una decisione "pascaliana", dinnanzi ad un eventuale nostro tentennamento di pensiero, che potrebbe invertire la sequenza: "– le sue mille promesse di verde – ma vedrò prima l’inverno e il pane nascosto nel seme". Dove per chi nellinverno vede lultima parola dellassenza di un Dio, la poetessa vede sì un "corpo stretto dalla neve" della morte e un continuo "dovrai ancora morire" nel tempo che manca al risveglio, seppure con il pianto del dolore, epperò appunto con quellattesa di vedersi compiere "le mille promesse di verde" di un Dio presente e prossimo alla carne dellunano, che dopo linverno dei corpi vedrà la rifioritura di unanima. Nella trama di una dedica filiale, nel dolente trascorrere di una separazione temporale e naturalmente definitiva, la custodia di una memoria, seme "sepolto" nel cuore che fai dei suoi ricordi memoria affettiva e profezia di speranza.
Un forte abbraccio
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